GióMARCONI presenta Enrico DAVID "Cielo di giugno" - dal 9 febbraio al 20 marzo 2021 -Via Tadino, 20 - Milano
GióMARCONI
presenta
Enrico DAVID
Cielo di giugno
9 febbraio - 20 marzo 2021
GióMARCONI
Via Tadino, 20 - Milano
dal martedì al sabato, dalle 11 alle 19
(su appuntamento)
Gió Marconi ha il piacere di annunciare Cielo di giugno, la prima personale di Enrico David in galleria.
Il percorso espositivo, palesando una personalissima declinazione alla leggerezza coniugata a una grande sete di
orizzonte, nasce in parte a seguito dell’esperienza di Venezia, nel senso che i materiali originari, note, bozze e
disegni che normalmente generano tutta l’opera di David sono stati pensati e appuntati durante il periodo di
concepimento dei contributi per il Padiglione Italia della 58° Biennale. Cielo di giugno marca una soglia nella
pratica di Enrico David: è la prima volta che una sua mostra si compone esclusivamente di lavori grafici, di “inizi”
e di “indizi” che in altre circostanze vengono poi tramandati in media e linguaggi differenti. La loro sequenza,
oscillando tra approssimazione e distanza, l’affondare e il sorvolare, sottolinea la posizione di Enrico David come
pittore e ha come pretesto un’esteriorità fatta di aria e atmosfera, di pulviscolo e luce, di vento calante e primo
buio. Il sole e la luna e il campo largo. L’osservare diventa un qualcosa che equivale al sedersi su una zolla di terra
o su un’impossibile panca ad aspettare un resto irriducibile. Ecco allora che l’orizzonte è quell’utopia che come
scriveva Edoardo Galeano è piuttosto una tensione, ci si vorrebbe avvicinare ma lei si sposta sempre più in là e in
pratica serve solo a questo, a permetterci semplicemente di continuare ad andarle incontro.
La mostra si compone essenzialmente di tre nuclei di dipinti. Le opere che occupano le pareti più corte dello
spazio costituiscono una sorta di parentesi e, una dirimpetto all’altra, ne racchiudono i contenuti. Il fraterno
silenzio del fango (2020) e Zattera viva (2020) sono due tele di grandi dimensioni che, come in un’architettura,
costituiscono la struttura portante per gli altri lavori e rappresentano i tralicci su cui il resto si inceppa. E ancora,
aquiloni che si impigliano nell’aria, in una luce non più trasmettitrice di materia e con l’eterno sogno della
malinconia si abbandonano alla caducità, o zattere, il cui il colore si fonde e si dissolve con la consueta
intonazione riflessiva e meditativa, che tengono insieme terra e cielo, ciò che è materiale con ciò che non ha
corpo e rischia di andare perduto. Le piccole tele sono invece quasi degli studi, composizioni visive che come in
una sorta di acrostico esplorano le possibilità del dipingere, o meglio, del come fare della pittura nel modo meno
pittorico possibile.
Bassa marea al molo, Fossa madre, Cielo trema o niente, o Punti di fiamma, Salvezza trovata in cielo tutti del
2020, come Cielo di giugno che da il titolo alla mostra, sono tele in cui l’immagine succede in un tempo più
rapido, con il gesto vivo di un qualcosa che accade o che sta per accadere, momenti che girano in tondo per poi
ricadere su se stessi seminando segni di sentimento. Sono immagini scultoree che fanno riferimento ad elementi
di natura quali l’erba, le canne di bambù o il fango, materiali frequenti nella pratica di Enrico David. Le pareti dello
spazio sono dipinte dello stesso colore naturale della tela, una modalità per cercare in maniera artificiale la
materialità o l’assenza di materialità della superficie che accoglie i dipinti.
Cielo di giugno, cielo di Acrab, la “signora del blu”, al di là della scorsa primavera mai vissuta, oltre lo scontro tra
la caducità umana e l’impassibile ciclicità della natura, al dì la di questo lungo inverno, l’estate non sopravvive
all’estate e ciò che resta è una strana e disagiante tenerezza.
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